La posta a Terni al tempo del colera

Questa lettera, con lo stemma pontificio e la scritta NETTA DENTRO E FUORI e con i tagli che la trapassano da parte a parte, è il primo incontro con l’argomento “colera” nello Stato Pontificio. Una lettera tra personaggi importanti, inviata dal Cardinale A. Rivarola al Marchese Francesco Eroli.

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Successive ricerche storiche parlavano di una epidemia di colera che negli anni 1835 – 37 aveva colpito tutta l’Italia, partendo dai grandi porti per poi diffondersi rapidamente nell’entroterra. Il Papa regnante, Gregorio XVI, attivò in tutto lo Stato Pontificio una serie di cordoni sanitari per ostacolare la diffusione del morbo, attrezzando specifici ricoveri, i lazzaretti, dove venivano messi in quarantena tutti quelli già ammalati e quelli ritenuti sospetti perché provenienti da località colpite dal morbo.

I medicamenti per combattere l’epidemia erano pochi e inadeguati. Il disinfettante principale era il fuoco: per gli oggetti più piccoli si procedeva con la fumigazione con i vapori di aceto di vino, di ammoniaca, e di cloruro di calce; per le mani si utilizzavano unguenti a base di oli essenziali che si riteneva formassero una barriera contro il contagio. Più che la ricerca delle cause che provocavano la diffusione, si cercavano soluzioni nella superstizione e nella fede religiosa, una pratica quest’ultima che la Chiesa alimentava diffondendo la convinzione che tutto dipendesse dalla punizione di Dio per i peccati degli uomini.

Tutto questo innescava anche la caccia all’untore, generalmente un individuo dall’aspetto miserabile che veniva ritenuto capace di trasmettere il male. Il contagio si alimentava invece nel degrado igienico e nella diffusa povertà (la maggiore quantità di decessi si verificava sempre fra i più poveri).

Pochi i ritrovamenti di lettere che parlano del colera a Terni, anche se il trasporto della posta funzionò durante tutto il periodo dell’epidemia senza interruzioni in tutto lo Stato Pontificio. Il materiale epistolare giunto fino a noi è inferiore rispetto a quello dei periodi precedenti o successivi alla diffusione del morbo, probabilmente per la paura di conservare le lettere (la carta era considerata uno dei trasmettitori più pericolosi per il continuo passaggio da mano a mano) e questo consigliava sicuramente l’immediata distruzione dopo la lettura. Possiedo solo altre due le lettere che parlano specificatamente del colera a Terni, con date distanziate di pochi giorni l’una dall’altra, entrambe inviate ad uno stesso destinatario residente a Narni.

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La prima è del 15 settembre 1837, inviata con porto pagato dal mittente, e reca sul fronte il timbro AFFRANCATA di Terni oltre al TERNI stampatello (impresso a rovescio) e i 4 classici tagli passanti. Le macchie sulla soprascritta sono dovute alla disinfezione eseguita per fumigazione che era agevolata nella penetrazione interna dai tagli . Questa operazione veniva eseguita disponendo le lettere su una grata di metallo posta sopra ad un recipiente che conteneva il liquido in ebollizione. I vapori toccavano soprattutto la superficie esterna ma penetravano anche all’interno grazie alle manovre fatte con apposite pinze.

Il testo di questa prima lettera oltre ad altri argomenti dice..…..Qui si vuole che ci sia il Colera, ma per la disgrazia il nuovo di morti non è maggiore di quello dell’altr’anni, anzi ci sono stati due giorni che non è morto nessuno, e quelli, che sono periti sono trapassati in seguito di precedente malattia trascurata, dunque speriamo bene……

La seconda lettera è del 21 settembre 1837, è meno macchiata ma con i consueti quattro tagli passanti da parte a parte per favorire la fumigazione. Anche questa tratta di questioni economiche per poi passare : ………..Lo sviluppo del Colera in Terni fece allontanare immediatamente la Sig.a Contessa (la moglie del mittente) che si recò in Pesaro. Io ugualmente mi sono recato in un casino di campagna insieme col Sig. Luigi Manni ove mi trovo tutt’ora per cui…………….

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Anche da queste poche righe sull’argomento si percepisce la paura del contagio, tanto da consigliare a chiunque poteva di allontanarsi dalla città, per cercare di scampare al pericolo.

Non conosco la quantità delle vittime ma è certo che la maggioranza dei ternani rimasero in città non avendo “casini di campagna” o la possibilità di trasferirsi in località non toccate dal colera. Quelli che scamparono all’epidemia fecero sicuramente ricorso alle poche precauzioni conosciute, evitando i contatti con altri e fidando nella buona sorte.

Concludo queste brevi note con la speranza che altri che si interessano di Storia Postale dello Stato Pontificio possano aggiungere ulteriori notizie sull’argomento.